Due righe sulla sentenza della Cassazione che condanna le minacce di bocciatura. Classico esempio a mio parere di "cattiva applicazione della legge". Mettendo da parte una denuncia e una condanna probabilmente sacrosante: riassumendo, la famiglia di uno studente ha fatto ricorso perché un professore di liceo minacciava di bocciare gli alunni che non si sottoponevano alle sue ripetizioni. Ricatto bello e buono, non è la prima volta che lo vediamo, indignazione legittima. E qui, quando tutto sembrava già detto e scritto, entra in gioco la creatività con velleità pseudo-psicoanalitica di chi ha scritto la sentenza, che ci parla di "libertà morale" dello studente lesa da "l'ingiusta prospettazione di una bocciatura" da parte del docente, che tra l'altro è "idonea a ingenerare forti timori". Da un caso lampante, una sentenza ambigua e generica. Perché un semplice "Se non studi ti boccio", con tutte le sue varianti, a questo punto rientra nella casistica. E quel sano terrore che, almeno ai miei tempi, ti spingeva a studiare un po' di più, ce lo giochiamo. (OK, mi direte che non dovrebbe essere necessario terrorizzare la classe per ottenere buoni risultati. Vi rispondo che lo sapete voi e lo so io che non è mai stato, non è né mai sarà così). Professoroni Padroni, dice un commentatore della notizia sul Corriere? Maddeché? Il corpo docente oramai deve stare attento pure a non respirare troppo forte, casomai svegliasse gli studenti e venisse accusato di turbativa della quiete mentale degli alunni. E la cosa comincia fin dalle elementari.
Tutto il sistema scuola si basa, per forza di cose, sull'inviolabilità del giudizio degli insegnanti. La pericolosa direzione che da un pezzo abbiamo imboccato è quella di metterla in dubbio, alla De Filippi maniera. Poi è chiaro che ci sono le eccezioni e in presenza di prove inattaccabili anche l'insegnante deve essere messo in discussione e severamente bastonato, se necessario. (In senso figurato).
Il fatto è che è difficile giudicare l'operato di un insegnante, e molto facile metterlo in dubbio. D'altronde è uno dei mestieri più difficili (e importanti) del mondo.
Non c'entra niente ma la butto lì... per il ciclo i disastri della psicologia mannaggia a chi se l'è inventata. Finalmente una sentenza (come sempre a coprire i vuoti legislativi, ma quanti ne abbiamo) della Cassazione che consente ad una coppia di adottare, per il proprio figlio, il cognome materno anziché quello paterno. Finalmente ci allineiamo al resto d'Europa. Ma, c'è un ma... attenzione che è già spuntato l'illuminato esperto di psicologia infantile del caso ad ammonirci che il povero bimbo in questo modo perde l'identità di famiglia. L'articolo è su Metro di oggi, non lo sto trovando in rete. Figurati in Spagna, che li mettono tutti e due i cognomi... generazioni e generazioni di squilibrati che non distinguono la destra dalla sinistra!
Ma perché continuiamo a farli parlare, questi?