Parto dal commento di un giovane (!) scrittore italiano di fantasy che, parlando di un testo non suo, dice: Non è facile costruire in poche pagine una trama convincente, né tantomeno delineare personaggi efficaci. Le poche pagine solo per la cronaca sono 165 circa, anche se (pare) scritte in grande.
A questo si aggiungono svariati commenti di lettori che riscontrano la brevità dello scritto come una pecca, chi veniale e chi madornale.
Ecco. A mio parere il commento che ho enfatizzato è una bestialità bella e buona. Ancor più grave una volta accertato che chi l'ha partorita scrive di mestiere. Mi sembra che l'opinione comune delle ultime generazioni di lettori è che se non c'è serialità, continuità, e soprattutto massa critica allora si è in presenza di un'opera minore. Opinione ahimé avallata e incoraggiata dalla grande editoria, che in questi concetti ritrova il suo perfetto compimento: se un prodotto è un serial, è molto probabile che garantisca longevità di vendite; se ogni puntata della serie cuba cinque, seicento pagine, è giustificabile alzare il prezzo di copertina.
Non tutti sono come il sottoscritto che, alla fine di un romanzo deludente che non finisce, si rifiuta categoricamente di comprare il successivo solo per sapere come va a finire (posso farlo con una serie televisiva, meno impegnativa e soprattutto gratuita, non con un libro). Non dico che il mio atteggiamento sia quello giusto, anzi palesemente impedisce di avere una visione più completa dell'opera abbandonata - il che, come dice il mio diavoletto suggeritore, spesso è un bene.
Fatto sta che oggigiorno nella letteratura d'evasione si ragiona in termini di saghe. Il pubblico giovane, in particolar modo, vuole questo, e l'editoria è ben contenta di dargli solo questo. Fin qui tutto bene, o quasi. Perché nel momento in cui gli scrittori stessi la pensano a questo modo significa che si è rotto qualcosa. E si capiscono taaaante cose sulla qualità dei tomi che vengono prodotti (e largamente distribuiti) di questi tempi.
Perché da sempre la forma letteraria del racconto, o del romanzo breve (ovviamente autoconclusivo) è stata la più semplice modalità narrativa possibile. Perché il respiro del racconto non ha necessità di essere troppo ampio. Perché l'impianto narrativo può essere poco (o niente) strutturato. Perché, a seconda della lunghezza della storia, si può decidere di adottare un unico ritmo nel raccontare perché tanto non bisognerà sostenerlo troppo a lungo.
Tutti gli scrittori americani di un certo nome hanno cominciato con la pubblicazione di racconti, o addirittura romanzi brevi a puntate (attenzione: non saghe le cui puntate sono romanzi) con un numero ben preciso di cartelle entro le quali rientrare, su riviste specializzate. Perché si è sempre pensato che affrontare un romanzo fosse un passo più lungo, un impegno più complesso, un cimento realisticamente difficile da affrontare all'esordio - e le case editrici difficilmente si impegnavano in tal senso con sconosciuti.
Ma lo scrittore vero si vedeva (si vede) anche da poche righe, è il suo mestiere, è il modo in cui catapulta il lettore nella storia, è l'abilità di gestire i tempi che siano lunghi o che siano corti. Non tutti lo sanno fare, non tutti sono scrittori.
Intendiamoci: può pure capitare che si possa avere maggiore predilezione/dimestichezza con la forma narrativa lunga nonostante tutto, ma la tecnica vorrebbe il contrario. Perché quando si scrive un romanzo o (peggio!) una serie di romanzi è necessaria una visione d'insieme, un'attenzione alla coerenza, un senso del ritmo e dell'equilibrio, una cura del dettaglio molto più studiata. E' una cosa che non viene per caso.
Forse dico forse, il mio diavoletto suggeritore sostiene che, molti giovani (o meno giovani) scrittori di oggi non vedono la differenza. Partono in quarta. Sfornano milioni di pagine al secondo. E li pubblicano così come gli arrivano (e perché disturbarsi a rimandarli indietro, se funzionano?). E se li leggono, perché l'argomento della storia, attenzione non il contenuto perché basta l'argomento, è il must del periodo (provate a scrivere oggi qualsiasi ciofeca seriale sui vampiri e vedete quanto ci mettono a pubblicarla).
E io sono preoccupato, seriamente preoccupato che il concetto di buona letteratura si vada via via modificando e perdendo. E' chiaro che si parla in primo luogo di generi di largo consumo per un pubblico sostanzialmente giovanile, ma sono da sempre convinto che la buona letteratura esista in tutti i generi - checché ne pensi una certa critica.
E' anche il motivo per cui finora ho provato, e in futuro rincarerò la dose, a suggerire dalle pagine di questo blog esempi di quella che ritengo ottima letteratura in generi più appetibili per le nuove generazioni (non nego che siano anche i miei preferiti) che siano serial o meno. Speriamo bene.