Guardavo la parete con occhi commossi e mi sentivo più giovane. Tornavo ai miei trent'anni, e a quel giorno di breve gloria. Gli occhi di mia figlia, ancora piccola, che mi guardavano stupiti mentre io la indicavo e le dicevo "Per te, tesoro, per te". Emma che mi sorrideva piena di orgoglio, e tutto il quartiere intorno che batteva le mani, mentre l'assessore Costanzo me La consegnava.
La Spranga d'Oro. Il simbolo della mia gioventù andata. Ma dopotutto non ho nulla da rimpiangere.
Fortunato il genitore che riesce a vedere nel proprio figlio il realizzarsi delle sue aspirazioni più sfrenate. E Arianna in soli diciassette anni ha fatto di più di quanto io e la madre avremmo mai potuto immaginare. O realizzare, se è per questo...
D'altronde, era predestinata già nel nome. A dire il vero io avrei voluta chiamarla "Ariana", ma quel giorno Emma mi fece promettere che l'avrei messa al riparo da improbabili ritorsioni rosse nel futuro... e a malincuore, davanti all'ufficiale dell'Anagrafe, feci aggiungere quella "n" di troppo.
Mi stacco dalla teca con la spranga e la dedica del sindaco, che allora era Alemanno II, e di nuovo non posso evitare di essere sommerso dai ricordi. Vinsi il titolo spaccando la testa ad un immigrato, durante quella che una volta si chiamava semplicemente Ronda Notturna - perché io e gli altri Controllori non eravamo visti di buon occhio. Ci perseguitavano.
Non ero mai stato particolarmente veloce, dicevo, ma in quell'occasione misi le ali ai piedi - anche grazie alle anfetamine, a dire il vero. Una piccola vergogna da custodire in me stesso: a quel tempo non c'erano i controlli antidoping che fanno adesso durante la Caccia al Negro, e comunque sono convinto che a volte certe sostanze servano solo a tirar fuori quello che Dio ti ha già messo dentro. Come dice la pubblicità della Gnocca Cola.
Poi qualcuno cercò di guastarmi la festa sostenendo che l'immigrato ce l'aveva eccome il permesso di soggiorno, che non era clandestino. Ne parlai, un po' spaventato, con Alfio, dopo aver letto il trafiletto su quel giornale di regime. Regime... lo dico e non mi sembra vero. Che solo quindici anni fa le cose fossero così diverse da adesso. Il mondo in cui la mia piccola Ari muoveva i primi passi, così buio e ostile e cristallizzato nelle ragnatele conservatrici dei comunisti. Respiro l'aria climatizzata di casa mia, e mi sembra di sentire la libertà che mi permea le narici.
Mi riscuoto, e mi sovviene il motivo per cui sono passato dall'ingresso: lo spumante. Scendo la scaletta e infilo la porta della cantina.
Sulla sinistra, le bottiglie per le grandi occasioni. E questa lo è, cribbio. Arianna promossa coordinatrice di una Squadra Antinegro già a 17 anni... La più giovane a Roma! Prendo per il collo un'ottima Moet & Chandon del 2004, prestando attenzione a non scuoterla troppo, e faccio per risalire, quando mi cade l'occhio su una vecchia foto, lì sul vetro della credenza impolverata che fu dei miei nonni e poi dei miei genitori. Io e Alfio. Alfio ed io. In piedi, giovani, sorridenti, con le spranghe appoggiate sulle rispettive spalle. Fatico per impedire a una lacrimetta di rigarmi la guancia. E mi ritornano in mente le sue parole di fronte alla mia preoccupazione: "Tranquillo Alessa', tanto quella minchiata non se la legge nessuno. E tempo due giorni scompare da tutti i giornali". "Ma... e se aprono un'indagine?". E lui, me lo ricordo come fosse ora, aveva sorriso come se avessi detto la più grossa delle stronzate. "Alessa', ma quando imparerai come va il mondo? Se non sta sui giornali non esiste". E mi aveva dato una pacca sulla spalla, e io avevo provato l'ennesimo, enorme, moto di riconoscenza nei suoi confronti. Era come un fratello maggiore. Lo abbracciai così, d'impulso, d'un abbraccio fraterno... e lui si ritrasse con violenza. "Ma che, sei frocio?" non disse, ma a giudicare dallo sguardo sicuramente lo pensò. La vergogna che provai mi costrinse ad andarmene senza dire una parola...
Mi chiamano. Mi sto perdendo dietro ai ricordi, mi accade spesso ultimamente, forse perché i successi di mia figlia mi ricordano che sto invecchiando. Risalgo in fretta con la mia bottiglia di champagne stretta in mano, cercando di scacciare il sentimento negativo del ricordo di Alfio e provando a recuperare un po' di commosso orgoglio paterno. Di là in sala da pranzo si chiacchiera piacevolmente, e le voci dei familiari mi scaldano a dovere. La mia comparsa desta un nugolo di "Finalmente!" e facce fintamente esasperate, per prima quella di Emma che agita il bicchiere: ha già il naso rosso, non è decoroso per una mamma - mi capita di pensare. Poi guardo Arianna, che probabilmente ha bevuto almeno il doppio di sua madre ma siede lì, perfettamente controllata, lo sguardo glaciale che sonda il tavolo, le labbra sottili ma ben disegnate strette in un sorrisino beffardo. A volte penso che se non fosse mia figlia, non avrei difficoltà a formulare... pensieri impuri. E' così bella, orgogliosa, marziale, mentre sfoggia il suo tatuaggio nuovo sull'avambraccio. Mi chiede la bottiglia: vuole aprirla lei. Gliela cedo volentieri, non sono mai stato bravo col cavatappi. Ari invece lo usa come tutti gli altri strumenti: con eleganza e competenza.
Alla TV intanto comincia il discorso alla nazione del Presidente, e ci giriamo tutti verso di Lui. Nonostante sia il secondo clone, sembra sempre lo stesso di trent'anni fa, quando iniziò la sua lenta opera di restaurazione della libertà in questo Paese. Le sue parole come sempre ci illustrano con chiarezza il bilancio del ventitreesimo anno di illuminata Presidenza, e annunciano gli obiettivi del prossimo: promuovere l'istituzione di Squadre Antinegri, Antirom e Antifroci anche negli stati gemellati di Francia e Austria, esportando temporaneamente i nostri migliori talenti - e qui provo un tuffo al cuore: Arianna all'estero? poi l'amore paterno ha la meglio: è per la sua carriera, il suo futuro - e un ingegnoso nuovo programma per lo smaltimento delle carceri, del quale non ci anticipa tutto per non rovinarci la sorpresa: ma pare che avrà a che fare con la ricerca scientifica. Solo un genio come lui riesce a trasformare un problema gravissimo in un input per risolverne un altro. Una donna bellissima, non ricordo se la sua segretaria o la Ministra della Conservazione della Razza, gli porta un foglio scritto a mano. C'è la sua ultima poesia. Attorno al tavolo, ci stringiamo tutti le mani in attesa di ascoltarla...