24 lug 2008

I gradi del tradimento / 1

[Questo mi sa che viene lungo, e lo spezzo in due]
Come sempre, suonare con lei mi sfiancava. Spiritualmente, fisicamente, intellettualmente. Lei lo sapeva e nonostante questo teneva sempre per ultimi i pezzi più trascinanti. Una sorta di delizioso sadismo, da parte sua.
Non so se quegli incontri clandestini potessero definirsi come veri e propri tradimenti... So che mi sentivo in colpa, perché li tacevo alla donna che amavo. Anche se il tutto si consumava in un'ora serrata di duetti classici, durante i quali ad avvinghiarsi e compenetrarsi erano le nostre musiche. E forse le nostre menti?
Non è facile descrivere la complicità che si crea tra un violino ed un pianoforte, quella fitta trama intrecciata in cui due strumenti e i rispettivi esecutori si scambiano il canto ed il controcanto fino all'autodistruzione, godendo ognuno nel prevaricare ed essere prevaricati dall'altro. Troppo facile il paragone con l'atto sessuale, vero?
Silvia non era una virtuosa, non lo era mai stata, probabilmente per scelta. Tutto il suo essere era teso nell'espressività delle melodie che produceva. Se incappava in frasi troppo complicate perché le potesse rendere con la sensibilità che riteneva necessaria, le semplificava. Le riassumeva. Sorridevo ogni volta che me ne accorgevo, nel corso di un'esecuzione, e tutte le volte mi meravigliavo di come le sue invenzioni risultassero straordinariamente appropriate in sostituzione di quanto imposto dallo spartito.
Perché non ne ho mai parlato a Gabri? Sembrerò meschino quando affermo che almeno all'inizio era per il suo bene. Non è mai stata in grado di impedire che la gelosia prendesse il controllo del suo umore e dei suoi pensieri. Quando mi sono imbattuto in Silvia la prima volta, tanti anni dopo i tempi della scuola di musica, dalla mia sincerità con Gabri ho guadagnato solo una violenta lite serale su argomenti futili e due giorni di silenzi reciproci. Solo per avergliela nominata, ho notato l'inasprirsi della piega delle labbra. Quando le ho raccontato del periodo in cui suonavamo insieme alla scuola, è piombata nel silenzio. Poi mi ha detto quasi con innocenza, "Chissà quante cose avrete condiviso". Ho nasato il tranello e ho chiuso il discorso con un'alzata di spalle. I trenta minuti successivi li ha trascorsi a cogliermi in fallo sistematicamente su qualunque azione o argomento che affrontassi, e il conflitto è stato inevitabile.
Affondai con violenza la scala per ottave che poneva fine al pezzo, mentre lei teneva all'infinito quel la-bemolle insidiosissimo senza un cedimento, una variazione nell'intensità, una vibrazione di troppo. Rallentai con esagerazione, di proposito, per vedere come se la cavava, lanciandole uno sguardo di sfida da sotto alle gocce di sudore che mi affollavano la fronte. Lei sorrise di rimando, formulò con le labbra un chiaro "b-a-s-t-a-r-d-o" e inaspettatamente si lanciò in un arpeggio in terzine discendenti, che andò a morire sul mio rallentando. Annuii soddisfatto e staccai le mani dalla tastiera. Non ero l'unico ad aver sudato, constatai con un certo compiacimento.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Questo, anche se ti viene lungo, però ti viene alla grande. Dio, come mi fai mordere le mani per non saper neanche alzare il coperchio del pianoforte che pure ho, inutilizzato ormai da quando mio figlio Marcello se n'è venuto a Roma (Trigoria, Campus biomedico)a fare l'ingegnere delle telecomunicazioni.Pagherei qualsiasi somma per saper anche solo appoggiare le dita sui tasti! Mi devo limitare ad ascoltare Bruno Ciccolini, il sommo Arturo Benedetti, Maria Tipo, la Marta Argerich... fai presto a postare il seguito. Sono curioso di sapre come lo risolvi. Ciao Guido